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gana, assicurandoci il possesso di quella formidabile barriera alpina.

Quando Franco, accompagnato dal sergente Bardelli, giunse a Roncegno, il Capitano Baseggio era in conferenza, con i due Comandanti di Battaglione, dal Colonnello comandante di tutta la truppa. Dopo circa un'ora, i quattro ufficiali uscirono dal loro ritrovo, e subito, dalle descrizioni udite Franco riconobbe l'alta figura del capitano Baseggio.

Magro, diritto, asciutto, capelli appena brizzolati, occhio sfavillante e deciso, viso di uomo sicuro di sè, fatto per la guerra, amico della montagna come chi ne ha lunga confidenza, con qualcosa di calmo e d'imperioso nel gesto e nella voce da domatore attento a tenere d'occhio una gabbia di tigri, Cristoforo Baseggio non somigliava ad alcun altro combattente sia pur valoroso: gli si leggeva sul volto e su tutta la persona l'impronta del guerriero di razza, il combattente nato, il soldato d'ispirazione, il capitano di ventura, scarso frequentatore di piazze d'armi ma sagomato per portare alle più rischiose avventure uomini senza paura, disperati incuranti della pellaccia, anime votate al sacrificio con la beffa alle labbra e la canzone in petto, schernitori del pericolo e ricercatori d'audacie nuove, veri equilibristi della morte, con cui giocano a rimpiattino. Di col-