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La zia, che era rimasta giù, l'attrasse fra le braccia, se la tenne stretta qualche secondo baciandola nei capelli e sulle guance, tutta commossa e felice.

Trasognata e inanimata, sorridendo come ubriacata da tutta quella effervescenza, Glorietta si ritrovò davanti a un buffet, con un bicchiere di Champagne in mano, con diecine d'occhi e di mani turbinose che le danzavano intorno e con torrenti di parole dolcemente cascanti che le accarezzavano i nervi.

A poco a poco le pareva che in quell'atmosfera di tepore, di affettuosità e di vibrazioni gioconde, quei suoi nervi irrigiditi dalla volontà e dalla solitudine provinciale, si dilatassero e si distendessero riposando, invasi da un'ondata di benessere, come due mani gelate dall'aria di gennaio e immerse improvvisamente nell'acqua calda.

Nel suo vestito da viaggio, un po' timida e impacciata, un po' goffa e molto carina, Glorietta quel giorno si lasciò ridere, si lasciò chiacchierare, si lasciò anche innocentemente flirtare.

Poi, sebbene stanca del viaggio, acconsentì a prendere il violino; e trionfò incredibilmente su quella gente che nella sua frivolezza sapeva possedere una sensibilità musicale di prim'ordine.