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do il coraggio e la volontà di resistenza da ciascuno e da tutti. I fanti sparavano a gran lena, senza risparmio, con una passione da vecchi cacciatori di selvaggina.

Tra il baccano del fuoco si udivano imprecazioni e urla selvagge dei nostri in tutti i dialetti della Penisola: «Porconi, di qui non passerete!» - «A morte i mangiasego!» - «Il cuore in padella ti vogliamo cucinà!» - «Fioi de can, i credeva de trovar poenta e ghe demo pece calda!». E sparavano, sparavano, senza tregua, finchè si udì il primo colpo di risposta della nostra artiglieria.

— Adesso siam fregati! — disse un caporale che la sapeva lunga.

Dopo un poco, difatti, che i cannoni tiravano sul nemico, un colpo venne a cadere sulla nostra linea, spazzando via tre fanti e ferendone altri tre. Furon portati via alla svelta, e il vuoto venne riempito. Il comandante di battaglione fece subito il segnale all’artiglieria di allungare il tiro: quei quaranta metri di distanza fra le due trincee costituivano un pericolo serio per i nostri, inducendo in errore gli artiglieri. Il tiro fu rettificato e rapidamente divenne di una violenza eloquentissima: dopo una mezz’ora di quella fitta grandine, finì per togliere la parola all’iniziativa nemica, che si limitò a qualche monosillabo, qualche starnuto, qualche