Pagina:Il mio cuore fra i reticolati.djvu/169


— 167 —

la lucidità dell’imminenza. Quegli occhi, non si sa bene se dilatati dal terrore o dalla volontà di superarlo, ebbero per Franco tutta l’eloquenza della «zona della morte»: mai più vide, poi, dipinta con tanta espressione, neppur sui volti dei morenti, l’immagine riassuntiva di quella linea che separa l’orbita della vita da quella della morte. A un certo punto la sensazione si precisò sempre più con l’ondata acre che invase le sue narici e della quale non seppe in un primo tempo rendersi conto: era un odore di decomposizione, di avaria disintegrante, di sfacelo degli elementi vitali. Subito dopo, Franco, guardandosi intorno, osservò cadaveri di soldati al margine della strada, riconobbe stinchi dissolventisi, crani staccati dal busto, busti seminudi e privi degli arti, e, qua e là, cadaveri di muli sventrati e spolpati dagli animali da preda. Tutto ciò costituiva un’atmosfera irrespirabile segnata da un tanfo di cimitero scoperchiato, come se la morte passeggiando su quei campi avesse aperto il suo mantello e lanciate al vento le esalazioni del suo putrefacente marciume.

Quest’orribile sensazione olfattiva fu la sola che colpì la sua sensibilità nel senso totalmente repulsivo.

Il suo primo entrare nel «ring del fuoco» fu invece una festa di sensi rivoluzionati,