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so dell’uomo autorizzato, rese folle l’irritazione di Franco.

Quando furono ancora in vettura, egli investì nuovamente la donna con insulti più atroci. A casa, l’obbligò a svestirsi e a mettersi subito a letto. Infatti Maura era assalita da una grossa febbre.

Egli ordinò alla cameriera di non abbandonarla un minuto, poi si ritirò nel suo studio. Fini di riempire la valigia che aspettava su una sedia, spalancata come uno sbadiglio. Cacciò dentro tutto senza guardare. La chiuse, mise la chiave in tasca. Poi si allungò in una poltrona, e si immerse nella visione dell’immediato domani: una grande fascia azzurra con venature rosse, sulla quale la mano di Glorietta tracciava piccoli segni come parole di luce: «Caro, grande, dolce, forte Amico».

Quando furono le sei del pomeriggio, Franco chiamò la cameriera:

— Andate a cercarmi una vettura e portate giù questa valigia.

Passò nella camera di Maura. La febbre era salita.

— Vuoi un medico? — le chiese con dolcezza.

La voce, rauca e fiochissima di Maura, gli fiatò:

— No. Voglio morire.