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I suoi amici lo chiamavano con una frase liturgica «il Martire delle sette Madonne.» Effettivamente qualcosa che odorava di tormento c’era in questa fuga implacabile davanti all’amore. Forse egli non fuggiva che il dolore. Era la solita vigliaccheria dei sensuali che non vogliono soffrire, quasi che la voluttà non sia la più acuta di tutte le sofferenze? o era una oscura coscienza di non sapere amare con tutta la generosità e con tutta la bellezza che occorre all’amore? Chi sa.....

Ma Arbace era punito, spietatamente punito del suo reato contro l’amore: in cinque anni, fra dozzine di amanti che gli saccheggiarono energie, intelligenza e denaro, non ne trovò una sola capace di dargli un brivido raro, una sensazione potente; capace di tracciare, sullo sfondo bianco di un letto d’amore, un gesto di bellezza esaltante, una parola di furore inebriante.

Nessuna fu artista, verso di lui. Quasi una rappresaglia del destino, egli in quei primi cinque anni non seppe che accumulare delle carezze mediocri, non conobbe che la piatta miseria di colui che possiede una moltitudine di monete di rame, pesantissime, il cui ingombro non costituisce ricchezza.