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un panchetto svitare una molla con una piccola punta di acciaio. Tien stretto nell’incavo dell’occhio una lente a tubo, naturalmente, senza increspare un muscolo per lo sforzo. Nella bottega mille pendoli dondano ritmicamente e mille lancette segnano l’ora identica e gl’identici minuti. Tornan da scuola le bimbe del Liceo, a frotte, tutte vestite di turchino, e cianciano occhieggiando di straforo i giovanotti che fanno l’aspetta.

Un ragazzotto spruzza d’acqua il selciato davanti a un negozio, poi entra, esce con una scopa e butta la polvere in mezzo alla strada. Un fiaccheraio dorme rannicchiato nella carrozza, sui cuscini rovesciati, e il cavallo, con il muso insaccato, mastica la biada. I colombi di Piazza Grande ogni tanto si levano a tormo e volteggiano in grandi cerchi, poi ricalano e zampettano fra le fossette d’acqua. Il soldato bosniaco davanti al palazzo della luogotenenza marcia a passi duri, si volta in tre tempi, torna in su.

Dove sono? L’aria calda mi fa socchiudere gli occhi, e cammino trasognato. Cammino lentamente e guardo come un forestiero stanco di viaggio, e che tuttavia debba vedere perchè qualcuno lo attende pieno di affetto e interesse. Ma nessuno m’aspetta e nessuno si sederà accanto a me tornato chiedendomi con occhi amorosi: ― E dunque? come fu il viaggio?

Io sono solo e stanco. Posso tornare e restare. Posso fermarmi qui in mezzo alla piazza finchè il sole mi faccia vacillare e cader per terra; e posso andare fra il frastuono dei carri come nel silenzio della notte, perchè in nessun luogo c’è riposo per questa mia grande stanchezza.