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Andai a vedere al Credit se mi prendevano impiegato. Appena montai la larga scalinata, piena di stucchi e d’indicibili lampadari, il silenzio del lavoro mi fece poggiare i piedi zitto, come se disturbassi, alla fonte, la pulsazione di un mondo misterioso.

Mi dissero ch’era impossibile perchè avevo fatto il ginnasio e non l’accademia di commercio, e poi non sapevo bene il tedesco.

Appena uscito, vedendo il bel verde chiaro degli orti sotto il Castello, mi tornarono a mente le fantasie puerili salgariane. Belle cavalcate d’avventurieri ch’incontro ad ogni svoltata della mia vita, e mi fanno il buon saluto augurale inebbriandomi gli occhi con il luccichio delle carabine strofinate e pronte. Strofinate sul tavolo, la candela un poco più in là: e il respiro della mamma dormente è tanto lungo che la mano strofinante con foga, su e giù, si rallenta, e s’accorda al respiro lungo, mentre l’anima comincia a pensare alle difficoltà, e si riempie di dubbio, come di acqua i fori della tenda appena tolta, cominciando la piova. Rividi la brunastra tenda nel primo lume dell’alba, sgocciante di rugiada, e mi curvai a uscirne dallo stretto pertugio, guardandomi intorno cauto, spiando gli scricchiolii dell’erba che si rialzava.

Uno scalone tirato da due cavalloni, carico di stanghe di ferro, correva a precipizio insordando la città. Il cocchiere, piantato con le gambe aperte sui due lunghi tronchi scorzati del margine, frustava e incitava i cavalli. Davanti a quel carro d’inferno tutti i sogni sparvero. Ero in Corso, fra gente impellicciata e automobili.

Me n’andai a casa stranito.