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La signora Eleonora non era in Taggia, partita poc’anzi per Genova con i suoi due figli tornati ambedue dall’esilio. Lucy sentì questa notizia con piacere; e solamente le parve mille anni di poterla rivedere, e congratularsi con la vecchia conoscente. Espresse con tanta forza Speranza un simile desiderio, che ottenne di accompagnare la sua amica inglese a Genova. Il piccol viaggio fu delizioso: cielo senza nuvole, il sole splendido e caldo, il mare cupamente azzurro; e Lucy sentiva raccendersi in seno quella passione pel bello, che le aveva procurato tanti piaceri ne’ tempi passati. Ella respirava con diletto quell’aria geniale; e alla vista di quella natura privilegiata, le si ricordavano tutte le antiche sensazioni, tutti gli antichi affetti, e con una squisitezza di gaudio, paragonabile solo a quella di un avaro, il quale conta e riconta le monete di un tesoro perduto a lungo e ricuperato di recente.

Nell’arrivare a Genova, lady Cleverton non ebbe difficoltà a rintracciare la signora Eleonora; la buona vecchia signora accolse a braccia aperte la inaspettata visitatrice, e senza parole di cerimoniosa accoglienza. Che moltitudine di pensieri affollavansi nella mente di entrambi, tenendosi strettamente abbracciate! Lucy fu la prima a parlare.

— «Non ve lo aveva detto che un giorno o l’altro avreste riacquistato i vostri cari?»

— «Dio benedica il vostro bell’animo,» risponde la signora italiana. «L’Onnipotente ha infatti ascoltate le nostre preghiere, e mi fece una delle madri più altere e più felici.»

Speranza s’ebbe non poca parte delle carezze e delle cortesie della signora; e se gli angeli piansero mai di tenerezza, noi teniamo per certo ch’essi lo fecero nel mirare quella riunione.

La signora Eleonora aveva poco da aggiungere alle informazioni riguardanti il dottor Antonio, già date da Speranza; e quel poco era male adatto a sollevar l’animo di Lucy. Solo una volta la gentil signora aveva avuto notizia del suo amico Siciliano, dopo il ritorno in patria. E mostrò a Lucy la lettera, che era datata da Palermo il 1.° febbrajo 1848; e dava un breve racconto del combattimento poc’anzi avvenuto fra le truppe del re e il partito popolare. Il Dottore aveva scritto evidentemente in quei momenti di agitazione, dopo una vittoria comprata a caro prezzo. Nella lettera era questo poscritto: «Grazie a Dio! sono stato tanto fortunato da spargere un po’ del mio sangue per la causa della mia patria. Una palla napolitana, quasi morta, mi ha ferito nella spalla dritta; è una mera scalfittura, che non mi impedisce di adoperare il