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magnifiche cure, cosi mi giovi riferire i due unici casi, del cui malesito la coscienza non mi francheggia del tutto.

La sera del 28 Dicembre son chiamato a visitare un tal Guasti Silvestro d’anni 60, sensale girovago, uomo faceto e piacevole quant’altri mai. È vissuto sempre sano; ha il braccio destro monco sotto il gomito, causa una mina, che gli scoppiò dappresso ventiquattr’anni sono, nell’essere a lavorare a Campiglia di Maremma. Scherzevolmente, siccome suole, comincia a raccontarmi, come cinque giorni indietro fosse preso da diarrea biancastra copiosa e frequente; il giorno avanti erasi recato in val di Bisenzio sotto una pioggia continua, avea mangiato molti migliacci, e quella mattina medesima s’era rimesso in via, bevendo acqua fredda ad ogni rio o fontana che incontrasse; tanta era la sete che il cruciava. Arrivato a casa, avea rivomitata tal quale tutta l’acqua bevuta. Lamentavasi di qualche dolore alle tempie e a’ sopraccigli, di romori agli orecchi, d’arsione grandissima: la diarrea continuava a dirotta. Del resto non dolori ventrali, non freddo nè apparenze cianotiche; solo qualche crampo in una polpa. Il parlare sciolto e allegro del vecchio, che scherzava sulle sue sofferenze, scherzava sul cholera, avrebbe scherzato su tutto, mi divertì la mente da tristi prognostici; tanta gajezza e ilarità di spirito mi facea credere assai lontana da quel corpo la temuta malattia. Ordinai fomentazioni all’estremità, bevanda acidula e diascordion (scrop. 1) in acqua di cedro, raccomandai al vecchio alcune regole igieniche, e lo lasciai con lieti auguri. Ed ecco dopo i primi sorsi cessare immantinente il flusso diarroico, sopprimersi le orine, prendere il campo vomiti biancastri