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il buon cuore 345

Non sapevano essi capire quanto di lieto e di bello era nelle nostre voci, quante invocazioni sacre mandavamo anche per essi al Cielo, quanti augurii pii avevano per i popoli i nostri rintocchi festanti, le ondate di suoni gioiosi che lanciavamo sopra la terra sempre cara della Francia! E questi gemiti e rimpianti arrivano fino a me per arcane vie, e mi vengono da tutti i desolati paesi dove la guerra inruria, facendo infame scempio di uomini e di cose, e mi prendono e mi struggano il cuore! Ma ecco, le grandi campane di Santa Maria del Fiore, dalla mirabile Torre di Giotto coi loro fiotti d’armonie giubilanti dominano queste intime voci che mi arrivano nell’intimo da lontano lontana, e le sopiscono. Dominano su la bella Firenze avvolta tutta nel velo roseo dei suoi tramonti stupendi, e chiamano il popolo cristiano adla Novena di Natale. Non c’è inno di poeta che uguagli la grandiosità degli inni di queste campane, ripetuti dagli echi dei colli virenti sempre di Bellosguardo e di Arcetri, e che annunziano il Natale che viene. Cntano i loro inni di Natale le campane di Santa Maria del Fiore; e il popolo ascolta i metallici ritmi, e li crede espansioni di tripudio e di esultanza. Ben altro dicono essi a me, che solitario comprendo le intime voci delle cose: dicono essi a me altri gemiti, altri rimpianti. Nelle sonore ondate che fanno quasi direi palpitare la Cupola di Brunellesco e il campanile di Giotto, le campane di S. Maria del Fiore, gemono: O Signore, o Signore, per lo strazio di tanti corpi umani. sfracellati, per tanto sangue versato da orrende ferite, per tante agonie desolate, per tante lacrime di madri, di spose, di orfanelli, per tante vittime innocenti di donne, di fanciulli,.di vecchi, peí- tanto massacro di popoli, per lo scempio sacrilego di tante tue chiese, pace, o Signbre, pace! Non guardare, Signore, ai delitti dei Grandi, dei Potenti; guarda agli umili, ai poveri, ai derelitti dilaniati nel corpo e nell’anma, che non hanno più pane, rion hanno più tetto, non hanno più amore intorno a sè, e dà pace al mondo finalmente! Pace, o piccolo Divino Gesù, per il tuo Natale, cosi luttuoso a tutti quest’anno!... Pace, ngiali del Natale, che sopra la Grotta di Bethlem annunziaste al mondo la pace nella Notte Santa!... Questo dicono a me le campane di Santa Maria del Fiore! E l’ultima eco, spegnendosi come un lamento, un rimpianto accorato, nel diffuso cielo di Firenze geme: Pace, o Signore,• pace (Firenze) Eliseo Battaglia.

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Felice Orsini nel 1849 ad Ancona

Chi lo avrebbe immaginato? Orsini, che nel ’58 doveva inaugurare l’orribile sistema degli attentati moderni a base di bombe e di consimili mezzi distruggitori barbarici, venne chiamato nel 1849 ad un’opera altamente civile di epurazione politica: ad estirpare cioè i metodi terroristici, che avrebbero disonorato la Repubblica romana, se una geldra di sche-

Felice Orsini nel 1849 e 49
da un’incisione del tempo

rani feroci avesse potuto impunemente sfogare i suoi appetiti di vendette e di stragi. «Pochi giorni dopo verificati i poteri (verbale 3 febbraio), fui mandato dal Governo come commissario militare in Terracina, onde reprimere alcuni abusi che si commettevano verso la popolaione e verso chi si credeva aderente alla parte papale dal cap. Zambianchi (2). Non potei riuscire nell’intento, poichè il colonnello Amadei, che doveva prestarmi la forza si ricusava alle mie istanze, temendo che le proprie forze non fossero bastevoli allo scopo. Me ne tornai subito a Roma, onde dare il relativo rapporto al governo». Al triumvirato, composto dell’«insignificante» Armellini: del Saffi «tutto mitezza e filosofia»; del Mazzini, meraviglioso di attività e di finezza diplomatica, ma non abbastanza energico e pratico nell’amministrazione dello Stato, Orsini avrebbe allora