Pagina:Il buon cuore - Anno XI, n. 35 - 31 agosto 1912.pdf/7


IL BUON CUORE 279


Eccomi solo, affidato ad un fanciullo, lungo una via fantastica, nel più vertiginoso degli apparecchi. Allorchè si giunge sulla sommità del monte e si sta per prendere finalmente la via della discesa, ho la sensazione nettissima che raggiungerò certamente la valle; ma molto più rapidamente forse di quanto osassi sperare qualche momento prima. Al primo svolto la vettura sbanda e slitta. «Sia prudente!» Il giovinetto sorride e prosegue nel suo cammino. Svolteremo così angosciosamente una cinquantina di volte. Ho messo il piede su lo staffone, pronto a saltare, ad uccidermi almeno da me! Così risoluto e rassegnato mi sono guardato intorno.

Quando giungiamo su la cima le sei del pomeriggio sono ormai passate. Scende già il fresco e la bruma sale. Al di sotto di noi le ripide scoscese del monte precipitano come muri. Il mare sembra l’acqua d’un lago chiuso tra i monti ed è color malva, roseo dove s’accalca la bruma. La vegetazione lungo i suoi bordi diviene nera se pure qualche campanile mostra ancora qualche luce sui suoi mattoni. Questo campanile è Paola, dove io debbo dormire? Quale alloggio mi aspetta? Il convento di San Francesco di Paola mi è stato indicato come preferibile agli alberghi. Esso nen può essere peggiore. E per me brilla più di una stella. Da sola rischiara l’immensità che mi circonda, magnifica di grandezza e di mistero, tra i monti riavvicinati e precipitosi, su questo mare calmo e silenzioso, su questo cammino ve: tiginoso, tra il vento diaccio della notte, che incombe. Di già il basso dei monti è scomparso, mentre la strada brilla ancora biancastra. Sembra ora che si corra verso un abisso senza fondo. Oltrepassata la sinuosità della strada, la vettura sembra volare verso il niente. Passiamo nel villaggio come una tromba muggendo e quando giungiamo al convento la notte è definitivamente discesa».

E questa notte passata nel convento di S. Francesco di Paola, tra i buoni frati, gli spira il seguente passo in cui dimentica tutti i disagi sofferti: «Ed ora, nel treno, che mi porta verso la Sicilia, tutto si cancella, ogni maledizione si dimentica; non vedo più che i visi sorridenti dei miei giovani amici, grazie ai quali la Calabria, poichè essi hanno rallegrato il mio cuore e fatto rivivere tutta la mia giovinezza, resterà uno dei più cari e più puri ricordi dei miei vagabondaggi».

Ma se la Calabria lo ha alquanto scontentato e disilluso, la Sicilia gli fa vivere tutto un sogno di luce, di gloria artistica purissima e di infinite commozioni che egli riassume così: «Questa terra di Sicilia è la più feconda che ci sia per un francese. Qui, egli trova tutto ciò che fa la caratteristica della sua razza: il culto del bello, il coraggio, il giudizio e la destrezza. Ciò che Goethe diceva dell’Italia noi possiamo attribuircelo: «L’Italia senza la Sicilia non lascia alcuna immagine nello spirito: è qui che vi è la chiave di tutto».

Questa chiave apre anche le porte della nostra patria. E se l’avidità passata e anche presente degli uomini ha reso questa terra così differente, per la sua miseria, dalla nostra, non è una ragione di più perchè noi dobbiamo sentire di amarla meglio?

Sono diversi anni che io ho passato a percorrere l’Italia e quando voglio ricapitolare le mie impressioni una voce mi risponde con una sola parola: bellezza.

L’isola della Sicilia è tuttavia la terra che pronunzia questa parola con l’accento più puro!»

Iniziando quest’articolo io ho accennato alle ricerche e agli apprezzamenti sociologici dell’autore. Essi sono molti e disparati. Uno solo apprezzamento voglio tuttavia esaminare. Maurel davanti la tomba di Petrarca, facendo della filosofia della storia, guarda l’Italia da un punto di vista federalista che gli fa torto. Egli immagina che vi sia troppa dissimiglianza tra centro nord e sud perchè la nazione possa prosperare coi poteri centralizzati. Ebbene Maurel s’è ingannato: egli ha visto troppo o troppo poco. Egli non si è accorto, viaggiando in Italia, che quel malcontento latente che lo faceva riflettere e lo spingeva a pensare ad una federazione delle regioni era nient’altro che esuberanza di vita. Egli non s’era accorto, enunciando una teoria, che lo stesso Ferrero gli rimprovera, che l’Italia era sotto pressione, per così dire, in attesa di un fatto nuovo!

E il fatto nuovo è venuto: la guerra! Che ci farà respirare meglio sul mare e che ha trovato tutti, proprio tutti, concordi e patriotticamente assimilati nello stesso sogno di grandezza! I campi della Libia e le onde dell’Egeo si sono incaricati di dire un po’ rudemente: Maurel, aveva torto: «L’Italia è oramai una nazione che ha gli italiani!».

E Maurel, che è uno squisito scrittore e un uomo di spirito, riconoscerà di aver avuto torto e magari aggiungerà qualche nuovo delizioso capitolo ai tanti che si leggono così volentieri, per descrivere ai suoi compatriotti come può apparire ad uno straniero l’Italia nell’anno di grazia 1912!

G. Giacomantonio.

L’Enciclopedia

dei Ragazzi

è il lavoro più originale della stampa moderna. Tutti i babbi e le mamme che amano i loro bambini devono acquistarla.

E la prima volta che si cerca di esporre il complesso delle umane cognizioni in maniera che anche un fanciullo possa capirle.

L’opera consterà di circa 55 fascicoli, splendidamente illustrati. — Ogni fascicolo cent. 70.

Abbonamento all’opera completa L. 36.

È uscito il fascicolo 44.

Casa Editrice L. F. COGLIATI - MILANO, Corso P. Romana, 17.