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quali sono belle e accettabili ancor oggi soltanto per coloro che vanno incontro ad esse con un corredo di cognizioni storiche, estetiche, musicali e quindi in condizioni di poterne intendere tutta la bellezza rispetto al tempo in cui furono prodotte. Esse vanno accolte, dunque, principalmente per il loro valore storico. Che se così non fosse, vale a dire se avessero tale valore estetico da soddisfare tuttavia il gusto di tutti i tempi, bisognerebbe ritenere che inutilmente sono passati nella vita e nell’arte i grandi riformatori da Gluck a Wagner e che l’opera melodrammatica meritava di rimanere allo stato in cui la crearono il Peri o il Monteverde.

Ora una restaurazione del carattere nazionale della musica, secondo le intenzioni del Comitato di recente formazione, vorrebbe dire, mi sembra, un ritorno all’antico, e questo ritorno può essere anche inteso in due modi.. Una educazione musicale collettiva, come si è fatto e fa costantemente in Germania, tale da mettere le masse in condizioni di poter intendere il valore storico delle vecchie musiche di teatro e da camera e constatare, a mezzo di esse, i progressi almeno formali che fatto la musica nel corso di secoli? E se è così, faccia pure il Comitato, che la sua opera sarà davvero utile e degna di elogi e di incoraggiamenti. Ma se il ritorno all’antico volesse dire non solo il bando all’esotismo, ma anche l’omaggio pedissequo alle vecchie forme e ai vecchi metodi, il Comitato farà opera anacronistica e sterile, poichè nessuno potrà seguirlo in un cammino a ritroso.

Anzitutto quali modelli si dovrebbero prescegliere per le nuove composizioni? Quale è quella musica o quel periodo musicale che abbia carattere veramente nazionale? Ci rivolgeremo al seicento, a Giacomo Carissimi, a Girolamo Frescobaldi, ad Arcangelo Corelli, ad Alessandro Scarlatti? O sceglieremo i nostri campioni più vicino a noi, nel settecento, fra Nicolò Jomelli, Nicolò Piccinni, Antonio Sacchini, Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa? O non ci fermeremo ad un periodo più complesso che si inizia con Gaspare Spontini e va fino al Rossini, al Donizetti, al Bellini, magari fino al Verdi?

La musica italiana, nello spazio di tre secoli ha subito tante vicende, tante evoluzioni, tante trasformazioni che mi pare assai difficile poter oggi stabilire il carattere nazionale di essa. Alfredo De Musset, in una lirica che è tutta una trama di singhiozzi e di rimpianti, quella del misterioso salice caro ad Ofelia, cantava, nei primi anni del secolo scorso:

Harmonie! Harmonie!

Langage que pour l’amour a créé le génie.

Qui nous vieni d’Italie et qui lui vient des cieux.

A quale dei nostri genii musicali pensava il poeta? al Pergolese, forse, o al Rossini? Entrambi composero musica italiana, ma quanto dissimile l’una dall’altra! Il carattere sostanziale di essa è la melodia, ma anche questa va soggetta a mutamenti ed abbellimenti formali. La melodia del Durante e del Marcello non è quella di Domenico Scarlatti, già più complessa e più ricca; la melodia di Alessandro Stradella non è quella di Leonardo Leo che fu tuttavia il più... melodioso fra
i melodisti italiani. E non c’è bisogno di ricordare il magnifico esempio offerto da Giuseppe Verdi per venire alla conclusione che le conquiste dell’arte, ed opera dei genii che si succedono nei tempi, sono indistruttibili. Sono possibili nell’ora presente i grandi entusiasmi per Michelangelo e per il Bernini, senza offendere nessuno, che l’arte della scultura e quella dell’architettura non han fatto dai loro tempi ad oggi alcun progresso, se non son pure andate decadendo; ma non è possibile una rinascenza dell’amore per la musica di uno o due secoli fa — a meno che non abbia, come ho detto una ragione di curiosità storica — senza venir meno alle leggi imperiture del progresso. Dopo le grandi conquiste del sinfonismo è innegabile che una gran sede di melodia pura, fresca, limpida ci possegga e ci tormenti; ma se questa melodia non viene a placare la nostra arsusa non è certo per colpa del sinfonismo e se verrà non potrà certo scompagnarsi dalle nuove forme plurifoniche le quali sono la caratteristica del nostro tempo, come i facili procedimenti armonici distinsero, con la loro vezzosa leggiadria, la musica strumentale italiana del settecento. Chè se ad un musicista anche valoroso piacesse di offrire al nostro giudizio una sua opera in nulla dissimile, poniamo, dalla Serva padrona, dal Matrimonio segreto, dalla Semiramide o dalla Vestale, che sono altrettanti capolavori consacrati dal tempo, l’esito sarebbe, siatene sicuri, presso a poco disastroso. E se ne capisce il perchè mancherebbe all’opera il valore storico e mancherebbe al musicista quell’aureola di celebrità che è ormai la ragion d’essere di certe esumazioni che noi diciamo di concedere al nostro spirito come un desiderato refrigerio, ma che, in sostanza, sono la misura migliore del cammino che ha fatto l’arte della musica, e della evoluzione che in noi stessi, di pari passo, si è determinata.

Pasquale Parisi.


Progressi internazionali dell’antiduellismo

Non sia discaro ai lettori un breve riassunto delle notizie recentissime su ciò che gli antiduellisti fanno per ogni dove.

In Germania si accentua il movimento nella gioventù degli istituti superiori d’istruzione. Fra non molto essa terrà una grande assembliea probabilmente a Gottinga. Lo scopo ne sarà di sancire gli studi concreti fatti per istituire in tutte le scuole superiori tedesche Consigli d’onore per risolvere le vertenze.

Questi studi furono ordinati dalla recente assemblea tenuta a Geissen, alla quale presero parte i delegati di 150 associazioni studentesche, con intervento di professori universitari. Il favore per i Consigli d’onore erigendi vi fu unanime, ritenendosi che il solo modo di far cessare l’uso del duello consista nel sostituirgli qualche cosa di meglio, ossia nell’adoperarsi positivamente alla organizzazione della difesa effettiva dell’onore, e nel far passare questa in prima linea di fronte al concetto negativo dell’antiduellismo puro e semplice.