Pagina:Il buon cuore - Anno IX, n. 44 - 29 ottobre 1910.pdf/3


IL BUON CUORE 347


la scuola, la chiesa, l’esercito, la vita pubblica; cosicchè la mente del colono si restringe sempre più all’ambiente delle necessità materiali domestiche ed alla non meno materiale aspirazione, di possedere un risparmio infruttifero e di dubbia custodia nel fondo del pagliericcio.

«Questo decadimento si aggrava nella rigida disciplina della fazenda e precipita in una forma primitiva, la paura, qualora alle altre circostanze sfavorevoli si aggiunga l’arbitrio dell’amministratore o del padrone.

«Ricordo, egli dice, gli sforzi compiuti presso gli uffici consolari o di patronato per farmi comprendere da coloni, dei quali parlavo lo stesso dialetto, il veneto; un vero regresso mentale si opera nei cervelli».

Facendo quei favorevoli apprezzamenti, rispondenti a giustizia, circa la fazenda S. Geltrude, noi non intendiamo affatto di rompere un’asta in favore del sistema delle fazende, quale condizione da desiderarsi alla nostra emigrazione. Noi crediamo che l’emigrante italiano il quale va a lavorare nelle fazende, in condizione sempre incerta e precaria, fallisca allo scopo che egli si propone lasciando la patria, quello cioè di farsi una posizione sicura ed agiata. Noi, che vedremmo volentieri tolto il decreto Prinetti riguardo ad alcuni Stati meridionali del Brasile, come ad es.: Santa Catharina e Rio Grande do Sul, crediamo che esso debba esser mantenuto per lo Stato di S. Paulo, per più ragioni, ma specialmente per il regime della fazenda che predomina in quello, mentre per il nostro emigrante il sistema della libera colonizzazione, che lo conduce all’acquisto pronto della terra che coltiva, è la via maestra per un prospero avvenire.

Approvando ciò che si fa di buono per i coloni nella fazenda di S. Geltrude, noi non pensiamo, neanche lontanamente, alla convenienza di indirizzare in quelle regioni ed a simili imprese agricole, nuovi coloni dalla Italia; ma citandola ad esempio, noi ci preoccupiamo della numerosissima popolazione di connazionali che abbiamo nello Stato di S. Paolo, pensiamo a quegli emigranti che, per ignoranza o per cattivo consiglio vi si recano, e vediamo nei metodi in quella seguiti un avvio al miglioramento delle condizioni di centinaia di migliaia di coloni italiani.

Altre fazende vi sono, similmente buone, nelle quali i coloni sono civilmente trattati ed educati, e dove possono trovare gli elementi di una futura condizione indipendente; e noi pensiamo che oltremodo opportuna sarebbe una cernita di queste dalle fazende tenute da proprietari inumani e cattivi pagatori.

Noi speriamo che l’Italica Gens, specialmente a mezzo dei segretariati e dei corrispondenti di quei paesi, possa presto provvedere ad illuminare con sicure informazioni in proposito i coloni che, abbandonata una fazenda perchè cattiva, ne cercano altra, avendo tutta la probabilità di capitar peggio. Speriamo che questa Federazione possa presto dar consiglio anche a quelli che arrivano di fuor dello Stato, perchè nonostante che apparentemente sia stato soppresso il turpe mercato che di essi si faceva negli infausti androni dell’«Hospedaria» di San Paolo, mediante l’istituzione per parte di quel

Governo di una nuova «Agenzia ufficiale di collocazione e lavoro», tuttavia ad essi mancano sempre gli elementi essenziali per giudicare del contratto che stanno per fare, e sono alla completa mercè dell’agente corretore, che in sostanza ha preso il posto e la funzione dell’antico arruolatore: egli non dà informazioni veritiere sulle condizioni delle fazende; suo scopo non è quello di avviare bene il colono, ma quello di far l’interesse dei padroni richiedenti, senza distinzione di sorta.

Un’opera di coscienziosa informazione può essere certamente provvidenziale, e può contribuire efficacemente ad un più sollecito miglioramento delle condizioni dei nostri concittadini; essa deve costituire una specie di boicottaggio contro i fazendeiros che intendono di trattare i coloni come gli schiavi: così essi vedranno disertati i loro fondi, e dovranno per forza adottare i sistemi che sono imposti dai principi più elementari di civiltà.

Ciò è necessario anche per la reputazione e per il rispetto del nostro paese; gli Italiani, a detta di tutti coloro che ne conoscono le condizioni nelle fazende, si assoggettano colà a privazioni ed a mali trattamenti che in patria non sopporterebbero, essi conducono sovente laggiù, una vita ben più misera di quella che gli offrirebbe il suolo italiano: ciò fa credere ai Brasileni che l’Italia sia un paese di poveri affamati, i quali abbisognino assolutamente del Brasile per vivere: bisogna invece che comprendano che i lavoratori italiani sono più necessari alla loro terra, che quella ad essi. Educazione ed Istruzione


Milano e il centenario di Fr. Maria Piave


RICORDI MILANESI


Cento anni or sono nasceva Francesco Maria Piave. Sparve dai fremiti possenti della vita milanese e finì pietosamente. Verdi gli fu largo d’aiuto nell’ora della sventura e volle provvedere alla gentile figliuola del librettista insigne che rivesti di versi le sue creazioni vincitrici del tempo, poi scese l’oblio sopra il poeta, come scende la sera sopra tutte le cose.

F. M. Piave doveva rivivere, lui che aveva brillato alla luce della gloria di Verdi. E’ pur giunta l’ora della resurrezione delle memorie. Diciamo di lui nel vecchio foglio lombardo ch’egli prediligeva.

Piave arrivò a Milano ai tempi della prima scapigliatura. Non era quella del cenacolo di Rovani e di Grandi, di Cremona e di Arrighi, di Isabella Galletti encantadora e del teatro milanese nella vecchia casa Travisanti al corso. Quando l’Italia parve tutta un maggio, Francesco Piave era alle soglie del capo tempestoso dei quarant’anni. E coi primi capelli bianchi svanivano via lontano lontano certe illusioni decennali di tentativi teatrali.