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186 LETTERE

se non aggradissino la stomacaggine de’ suoi scritti, si morrebbe di fame, la dove sì per l’ignoranza, sì per i vizj, non gli sarebbe dato un ridotto negli spedali. Nè mi può egli opporre con onor suo che ingrato gli sia, perche se io accetto a lui, che m’abbia talvolta dato del pane suo, egli non può negare a me, che con le fatiche mie usate nelle sue cose, non gli abbia renduto a sette doppi la cortesia; sapendosi che in quel tempo che io ed altri virtuosi usavamo nella sua casa, ascese al luogo sì riguardevole, donde si vide sotto i piedi la sciocchezza de’ prencipi, e perduta l’amistà de’ dotti, ne venne giuso.

E chi non sa che se i miei pari non fussero, egli da se non varrebbe a tradursi nel volgare le leggende de’ santi padri che tutto giorno va fioreggiando? Ma che dirà l’ingrato uomo? Potrammi mai egli ricompensare con mille vite il buono ufficio ch’io per lui feci nella querela che gli fu data per la bestemmia? Non è egli noto in Venezia? Dove s’avrebbe potuto scoprire il mio buon animo con meglio prova, sè mentre io era fuori delle sue pratiche, gli usai la buon opra ch’io non dovea? Ma così va. Niun altro testimonio non reco del suo tristo animo, se non quest’uno, e perciò sia indizio del mio buon giudizio s’io sempre con voi contesi, che il livore del suo petto saria stato il fonte de’ miei oltraggi, e che le offerte che a suo nome recavate, erano melate finzioni per ascondere l’animo micidiale,