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DEL FRANCO. 133

CXXXI.


Il gallo ha per costume, chi ben mira,
     Che appena la gallina egli ha calcata,
     Ch’abbassa un’ala, e poi che l’ha abbassata
     4Le sgrida addosso, e intorno le si gira:
Quasi mostrando che gli cada in ira,
     E poichè la lussuria è passata,
     E quella prima furia sfogata,
     8Tra se medesmo del suo error s’adira.
Cosa, che non facciamo noi ser cazzi,
     Perchè accecati dalla foja ingorda
     11Veggiamo manco degli animalazzi.
E come al capo avessimo la corda,
     A tutte l’ore andiamo come pazzi
     14Seguendo il culo d’una potta lorda.


CXXXII.


Poeti, io vi scongiuro per mio amore,
     Che delle potte non diciate male,
     Perocchè il merto loro è tanto e tale,
     4Che merta incensi, se non basta onore.
Elle son, che concedono favore,
     Ed elle sono i gradi con le scale,
     Donde a gloriapatri poi si sale,
     8Ed un facchino fanno Imperadore.
E se volete ch’io più ve ne dica,
     Vi dico al tandem che per loro è alzato
     11Chi la sorte sempr’ebbe per nemica.
Ed è tal uom che gode il buon Papato,
     Chè, sè non fosse stata monna fica,
     14Nè Cardinal nè Papa saría stato.