Pagina:Il Vendemmiatore e La Priapea.djvu/13


DEL TANSILLO. 5

VI.


    Godon le donne che son grate al Cielo,
E i cor non han, qual voi, rigidi e crudi,
Le stagion liete; e poi che neve e gelo
44Cadon su i colli, d’erbe e di fior nudi;
Non han di che dolersi, ancorchè pelo
Cangiando e volto, cangin vita e studi;
Non ha l’agricoltor di che si doglia,
48Purchè al debito tempo il frutto coglia.

VII.


    Ma chi del proprio ben nimica altera
Ne mena il tempo sterilmente tutto,
E passa autunno, e passa primavera,
52Senza coglier giammai nè fior nè frutto;
Giunta a’ suoi chiari dì l’ultima sera,
Quai penitenze, quai sospir, qual lutto
Pensate, che assalir debban costei?
56E trista dice: Oimè, quant’io perdei!

VIII.


    Credete a chi può farven giuramento,
Che stato tristo non ha il mondo ch’haggia
Pena, che vada a par del pentimento,
60Poichè ’l passato non è chi riaggia:
E benchè ogni pentir porti tormento,
Quel che più ne combatte, e più ne oltraggia,
E piaghe stampa, che curar non lece,
64È quando uom poteo molto, e nulla fece.