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56 Capitolo III.

incertezze scompaiono, gli errori si correggono, l’analisi si integra con la sintesi e si costituisce per la prima volta l’unità organica della scienza dialettica. Perciò mentre più oltre si discuterà che cosa sian l’Essere e il Non essere, nelle dicotomie si mette già in pratica, sebbene un po’ all’ingrosso, ciò che sarà poi determinato in teoria: ogni divisione è una determinazione, ed ogni determinazione è una negazione, una eliminazione di un Non essere. Chi è avvezzo praticamente a questo processo ha già il senso della legge ch’egli attua: le sue impressioni sono informate all’ordine prestabilito di essa legge, ed egli è per ciò stesso preparato a conoscerla razionalmente. La sua conoscenza non è quindi altro che la constatazione di una legge psicologica.

Per tal modo l’argomento che pare incidentale diventa la tesi generale e fondamentale, di cui la questione del sofista non è che un caso pratico, un’applicazione singola.

3. Falsità? inganno? Il sofista oppone la pregiudiziale: non esiste la falsità. Non è un’obiezione che Platone si immagini. Sensismo e scetticismo erano i fondamenti della filosofia dei sofisti. Combinando a modo loro la dottrina dell’Essere di Parmenide e quella del divenire di Eraclito, l’Essere lo tiravano dal cielo in terra e lo limitavano solo a ciò che i sensi percepiscono e nel solo momento che lo percepiscono,



    colari, e non sono di tal sorta da mandare all’aria le conclusioni; osserverei ancora che, per esempio, l’incongruenza di p. 220 D (veggasi ivi la nota) e quella di 231 D, dove si citano come due definizioni ciò che a p. 224 D era stato dato per una sola, sono prova non già di intenzione di scherzare, ma di negligenza. Ne conchiuderei dunque invece, che Platone non diede l’ultima mano all’opera sua; che forse occupato dalla parte essenziale della sua tesi, non si curò troppo di rivedere le altre, la cui inesattezza non guastava la sostanza del resto, e si contentò per queste del primo abbozzo.