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III.


Ogni volta che entrava nel camerone, come veniva chiamato il salone della baronessa di Lagomorto, don Silvio La Ciura si sentiva compreso da un sentimento di ammirazione che lo rendeva più timido del solito.

Era rimasto in piedi, con una punta del cappello da prete appoggiata alle labbra, e sembrava quasi smarrito tra i vecchi mobili che davano allo stanzone bislungo un’aria di decrepitezza e di abbandono.

Attendendo che la baronessa comparisse da uno dei quattro usci alti fino al cornicione, dopo di aver dato una rapida occhiata ai ritratti polverosi, ai quadri anneriti e screpolati; agli specchi con cornici barocche, appannati e mezzi rosi dall’umidità, che coprivano le pareti; ai canterali tinti in verde pallido con fiori e fregi bianchi, alla pompeiana, nei