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E niun sapea lor nomi, i regi scalchi
D’alquanti capri e di lascive agnelle
100Dono lor fean, poscia additavan loro
Lochi deserti e abbandonati e vasti.
Venner da questi che fuggìan da morte,
I Curdi bellicosi, essi che lochi
Non aman colti e ben difesi ostelli,
105Ma vivon solitari entro a lor tende
Né timore han di Dio nel tristo core.
     D’allora in poi dell’empio re il costume
Sì perverso si fé’, che ove improvvisa
Brama gli entrasse in cor, qualunque vaga
110Fanciulla intatta, d’illibato nome,
Incontrastato a’ ginecei traea,
Schiava ei la fea nel suo cospetto. In lui
Pregio non era, non costume o fede,
Non virtù che di re degna si fosse.

II. Sogno di Dahâk.

(Ed. Calc. p. 28-31).


     115Ma poi che di vent’anni e venti ancora
Spazio restava alla sua vita in terra.
Vedi e pensa qual mai novella cosa
Trasse a Dahàk su l’empio capo Iddio.
     Nella notte profonda entro al regale
120Palagio egli dormìa con la leggiadra
Ernevàz al suo fianco. Ei vide allora
Dal palagio dei re fuori d’un tratto
Tre guerrieri apparir, due di provetta
Età, l’altro minor che in mezzo agli altri
125S’avanzava, e parea nobil cipresso
Nella statura maestosa ed alta,
Nel costume di prence. Erasi cinto
Qual re sovrano e avea regale incesso,