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Avea contorti, lasciavanle in preda
Perfidamente. Ogni opra rea costui
Lor disvelava, e la magìa, gl’incanti
Loro apprendea con ogni frode e inganno,
30Chè tal del tristo era la legge, e questa
Ampia terra per lui tanto era vile
Quanto di lieve cera un picciol globo.
Egli nulla sapea fuor che maligne
Arti bandir, nulla sapea che morte
35Non fosse o incendio o barbara rapina.
     Avvenne poi che si traean per lui
Due giovinetti ad ogni vespro (un servo,
Disceso l’altro d’un’eroica stirpe)
Dai regi scalchi alle sue case, e questo
40Era rimedio al suo penar; che tosto
Il tristo gli uccidea, poscia il cerèbro
Fuor ne traea con arte, e un tristo cibo
Alle serpi apprestava, orride e negre.
Ma in que’ giorni vivean, d’inclita e regia
45Stirpe discesi, due gagliardi, illustri
Per molto senno e per opre leggiadre.
Irmaìl dolce e pio l’un s’appellava,
E l’altro Kermaìl, saggio e prudente.
E avvenne ch’elli un dì sedeano insieme
50A favellar de’ casi intravvenuti,
Patitamente, e dell’opre nefande
Del lor signor, del popolo infelice,
Del costume di lui feroce e reo
Nel ferino alimento. E un disse allora:
55Or sì, quai regi scalchi, andar conviene
Di tal prence all’ostello e una sottile
Arte trovar, con molto studio e cura
Vi ripensando, per che almen dei due
Che ogni giorno a morir sulle regali
60Porte son tratti, uno per noi si salvi.
     Così partìan, così l’arte dei cibi