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denza senza scemar d’un bossolo quella del Papa.

Ma sventuratamente il Papa è re; e come tale, vi vuol corte e cortigiani, che hanno ad essere uomini della stessa risma: nulla più logico. La corte del Papa agogna anch’ella ad immedesimare spirituale e temporale, e disporre a talento degl’impieghi dello Stato. Può forse il Sovrano dichiarar strana una tal pretensione? Arroge, ch’ei spera (e si appone ) d’esser servito più fedelmente da preti. Arroge, che la rendita de’ più alti impieghi e meglio retribuiti è necessaria allo splendore di sua corte.

Di che séguita, che confortare il Papa alla secolarizzazione del governo, gli è predicare la castità in chiasso. Cotest’uomo che non ha voluto esser laico, che compiange i laici di esser tali, e considerali come casta inferiore alla propria, che ha avuta educazione antilaicale, che pensa, nelle maggiori questioni, differentemente dai laici, di quell’impero in cui è assoluto signore, volete voi che egli divida coʻlaici il potere? Che si circondi di tal fatta gente, che chiamila ne’ suoi consigli, e ad essa affidi l’eseguimento dei proprii voleri? Che cosa farà egli? Se ha paura di voi, se ama accoccarvela, se gli preme farsi credere animato da buone intenzioni, cercherà nei mezzanini de’suoi ministeri qual che laico privo di none, di carattere, di talenti; porrà poi in mostra la di lui nullità, e ne farà pompa; quindi, presane l’espe-