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con uno ora con altro intertiensi, loro dicendo:« Mio caro generale.» Uopo sarebbe che un militare fosse ingrato, malnato, dischiattato dalla vecchia cavalleria francese, spoglio di osservanza per la vecchiaia e per la debolezza, per non farsi uccidere alle porte del Vaticano, ove lo si gabba si destramente.

I nostri ambasciatori, altri buoni stranieri, sono esposti alle lusinghe personali della Società romana. Povero conte di Rayneval! Lo si era tanto vezzeggiato, lusingato, tratto in inganno, che giunse a dettare la Nota del 14 marzo 1856!

Il suo successore, duca di Grammont, é non solo perfetto gentiluomo, ma un ingegno fine e di grande coltura con un tantino di scetticismo. L’Imperatore è ito a prenderlo a Torino per inviarlo a Roma: potevasi quindi sperare che il Governo papale sarebbegli paruto detestabile cosi a prima giunta, e per confronti dappoi. Io ho avuto l’onore d’intrattenermi con questo giovane e brillante diplomatico, appena dopo il suo arrivo, e quando il popolo romano gran cose attendeva da lui. L’ho trovato avverso alle idee del signor di Rayneval, e poco disposto a firmare la Nota del 14 marzo. Infrattanto ei cominciava a giudicare l’amministrazione dei cardinali e i torti della nazione con imparzialità più che diplomatica. Se osassi compendiare la sua opinione, cosi alla buona, direi che ei poneva governo e governati in un fascio; tanto può dolcezza di caccabaldole ecclesiastiche anco su gli animi vigorosi!