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478 parte seconda

cuore».1 Lao-tse non iscende più basso. Oltre l’urbanità, la cortesia, c’è il disordine assoluto dello Stato: essa non è proprio il male, è il principio del male; tien posto di quella virtù che l’uomo è andato a mano a mano perdendo, da che ha abbandonato il non-fare; è l’espressione d’una degradazione morale dell’umana natura, dovuta alla civiltà; è un’apparenza necessaria, mancata la quale la società si dissolve.2

Questo passo di Lao-tse, che abbiamo ora riferito, fu una vera pietra di scandalo, lanciata nel campo de’ confucianisti. La «Cortesia» (Li), che essi tengono come principal qualità dell’umana natura, che fa l’uomo atto al civile consorzio, divenuta poco men che ipocrisia!; la «Carità» e la «Rettitudine»: queste celesti virtù, che sono il più bell’ornamento del «Santo» secondo Confucio, chiamate difetti, e quasi vizii! Se una tal dottrina prendesse radici, quale inesprimibile disordine e confusione in tutto il mondo! I Taosi si difendono come possono. «Quelli che ragionan così, dicono essi, non son capaci di comprendere il fine che si era proposto Lao-tse; nè, percorrendo la storia del nostro paese, di scoprire le vere cagioni de’ disordini. Al tempo degli Thsin il disordine era immenso; e il male non poteva esser maggiore. Ora gli uomini di quel tempo praticavano eglino la dottrina di Lao-tse? Certo no. Non senza ragione il nostro maestro ci apprende a non apprezzare la carità, la rettitudine, la urbanità e lo studio. Se egli predica che gli uomini lascino in disparte quelle virtù, è per ritornare al Tao e al , ossia al non-essere e al non-fare; se egli ci consiglia di non amare la civiltà


  1. Tao-tê-king, cap. xxxviii. Conf. anche il cap. xviii.
  2. Vedi i Commenti al cap. xxxviii ora citato.