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parte seconda 307

dalla città, una folla di giovani volle seguirlo. A Confucio non piaceva che costoro trascurassero a quel modo i doveri di figliuoli, abbandonando le loro case e i loro parenti; ma lasciolli fare, senza pertanto incoraggiarli; persuaso che ai più verrebbe meno l’ardore, il quale spesso la gioventù, crede di possedere prima d’aver misurate le proprie forze; e convinto d’altra parte che non mancherebbe, durante il viaggio, occasione d’istruir loro con l’esempio: e l’esempio non mancò. Arrivata ai confini del regno di Lu, la comitiva incontra un uomo che s’era allora allora impiccato a un albero. Lo salvano dalla morte; e Confucio sceso dal carro gli domanda la causa di quell’atto disperato. «Negli anni della mia giovanezza, risponde quell’uomo, non ebbi altra passione che lo studio, altro desiderio che di conoscere, altro piacere che il possedimento della scienza. Lasciai la casa paterna e viaggiai pel mondo. Tornai dotto; ma i miei genitori erano morti; e io non avevo fatto nulla per loro; m’ero arricchito di sapere, ma non avevo sollevato dalla miseria mio padre e mia madre. Sono un filosofo, mi dissi, andiamo alle corti a consigliare i principi e i ministri; ma i principi e i ministri si godevano la vita, e si burlarono di me. Degli amici ne avevo molti; mi rivolsi a loro; eglino, pensai, apprezzeranno la mia scienza, mi stimeranno, o almeno mi saranno larghi di consolazioni. Ma nessuno più si ricordava di me, o voleva ricordarsene. Ritornai in patria; ero vecchio, senza figliuoli, senza amici; tormentato dai rimorsi per la mia condotta passata, disperato per l’avvenire, tentai uccidermi». — Confucio consolò come potè quell’infelice; poi rivoltosi ai discepoli disse loro: avete udito, miei giovani amici, le parole di quest’uomo? Vi siano esse d’ammaestramento. — Quindi risalito in carro proseguì la strada.