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158 parte prima

renza fra la Metempsicosi propriamente detta, quale la intendono i Brahmani e i Pitagorici, e la trasmigrazione buddhica. Il modo col quale termina la serie infinita delle incarnazioni o dei rinascimenti, è esso pure diverso, perchè diversissime sono le idee teologiche e cosmologiche delie due sopra dette religioni. I Brahmani, che riguardano l’universo come un’emanazione di Brahman, cessato il trasmigrare dell’anima, riconducono questa a Brahman, da dove si partì; ed ogni Essere assorbito in Brahman, perde la sua individualità, il suo Io. Il Buddhismo che non ammette questa divina sostanza, quest’anima cosmica, che non conosce un Dio eterno, creatore del mondo, e che per di più considera ogni Specie di vita, quella pur degli Dei, come infelice; non può, ricondurre il vivente (dopo che miriadi di rinascimenti consecutivi lo resero degno d’uscire dal circolo della trasmigrazione) nel seno di un’anima universale dal quale venne come distaccato: nè può dargli una esistenza individuale, eterna, divina. L’anima, o quella parte dell’individuo che percepisce, pensa e ragiona, essendo secondo la metafisica buddhica, intimamente legata all’organismo, non è capace dopo la morte, d’avere esistenza propria, nè di rivestire un corpo incorruttibile atto a godere o soffrire in eterno. Essa si perde col disfarsi del corpo; e l’unica suprema felicità del seguace di Çâkyamuni, è quella che dalla distruzione del suo Essere non ne nasca un altro, ma che si termini in lui la sequela delle trasmigrazioni. L’individualità, l’Io del Buddhista si perde nel Nirvâna, che è l’opposto d’ogni specie di esistenza, ossia nel Nulla assoluto; come l’Io del Brahmano si perde in Brahman.1


  1. Bigandet, p. 21.