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canto quinto. 79

D’Asia il fato e d’Europa era pendente
     Da quella spada, e trepidava il Mondo.
     395Librò, credo, amendue l’Onnipossente,
     E ponderoso in giù scese il secondo.
     Sparve l’altro più lieve, e nella mente
     Si rinchiuse di Dio, che nel profondo
     Del suo consiglio or forse il fa maturo,
     400Nè par che molto restar debba oscuro.
S’offerse agli occhi allor di BONAPARTE
     Grande un prodigio, e qual vulgossi, occulto
     Nol vi terrò, ch’egli è d’eterne carte
     Degno, nè debbe rimaner sepulto.
     405Già d’Acri a terra rovinose e sparte
     Cadean le mura; del superbo insulto
     Già il fio pagava l’Ottoman, cui resta
     Solo un riparo, e mal potea far testa.
Tacita uscìa dalle cimmerie grotte
     410La nemica del dì; ma non del Duce
     Tacea la cura, che per l’alta notte
     In mille parti il suo pensier traduce.
     Ed ecco balenando aprir le rotte
     Ombre a’ suoi sguardi un’improvvisa luce,
     415Ecco stargli davanti eccelsa e ritta
     L’augusta immago della patria afflitta.