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268 TEOCRITO

scipita narrazioncella, appena animata da qualche favilla rapita alle «Baccanti» euripidee. Ad Euripide è anche ispirata, evidentemente, la zelante ortodossia dionisiaca. Assai plausibile sembra la ipotesi del Wilamowitz, che questo idillio sia una speciosa ed empia apologia cortigiana, composta per giustificare con l’esempio mitico, lo scempio d’un giovinetto (v. 26 sg.) perpetrato in qualche corte ellenistica, per ragioni dinastiche, e da femmine. In quale corte? Quale giovinetto? Quali femmine? Non sapremmo rispondere. Ma è certo che non tutti gli enigmi meritano il travaglio mentale della soluzione.

XXVII

IL COLLOQUIO D’AMORE

È forse l’idillio che ha meno bisogno di chiarimenti. Nella materia che svolge, tutti sono maestri.

E tuttavia, anche questo cristallino, e, come ora si dice, aderente al vero (magari troppo aderente) colloquio d’amore, varca i secoli carico d’un bagaglio sempre piú grave di «problemi», di «quaestiones», di «adversaria».

— È completo o è un frammento? — Secondo i piú, manca il principio. È probabile, per quanto nessuno potrebbe giurarlo; ma ogni persona di buon senso vorrà ammettere che è tempo buttato mettersi a far l’indovino, per determinare precisamente che cosa ci sarà stato nella parte perduta.

È o non è di Teocrito? Indegno senz’altro, non lo direi; ma certo la lingua e la metrica sembrano accennare ad un’età piú recente.

A quale età? Alcuni dati farebbero pensare ad un seguace di Bione: altri ci porterebbero addirittura a Longo Sofista; ma