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262 TEOCRITO

l’efficacia del colpo dipende dallo scatto simultaneo della gamba e del braccio».

E questa volta, Amico è proprio messo knock-out, e non gli rimane che chieder grazia.

In onore di Castore è poi cantata la sua lotta con Ida. Il mito è troppo noto perché occorra ripeterlo. È qui narrato secondo una versione differente dalla pindarica; e il racconto è pieno di vivacità e di colore, sebbene non possa reggere il confronto con quello del poeta di Tebe. In sede lirico-epica, due tocchi di questo Titano valgono tutte le squisitezze dei poeti alessandrini. Ecco, in Pindaro, la morte di Ida e Linceo:

Giove dall’Ida scagliò la fiamma ed il fumo del folgore;
e derelitti i due corpi quivi arser. Ben ardua cosa,
per l’uomo, lottar coi piú forti.

L’invocazione ai Dioscuri, che apre l’idillio con la pittura della tempesta, è bella ed efficace. Non mi pare improbabile che Teocrito ne abbia tolta l’ispirazione dall’ode d’Alceo, di cui i papiri ci hanno, tempo fa, restituito qualche frammento. Ed anche qui conviene osservare che una strofe d’Alceo compera tutta la pittura di Teocrito.

Ché su la cima delle salde navi,
fulgidi intorno agli alberi balzate,
e luce, ne la notte orrida, al negro
legno recate.

Impareggiabile rimane invece Teocrito in altre due pitture. In quella del paesaggio, non inferiore a nessuna di quante abbiamo finora ammirate negli idilli; e in quella di Amico; che è poi di carattere schiettamente alessandrino; perché non scolpita evidentemente da un dilettante, che abbia visto e ammirato corpi d’atleta;