Pagina:Idilli di Teocrito (Romagnoli).djvu/30


PREFAZIONE XXXI

neamente, qua e là, nella sua opera, tracce della sua figura etica, della sua «personalità», non è forse vano raccoglierli. Conoscere l’uomo può giovare ad intender meglio il poeta.

Ora, nella poesia di Teocrito, pure essenzialmente obiettiva, simili tracce, dirette e indirette, sono frequentissirrie. Tanto che si possono quasi applicare ad essa le parole d’Orazio:

                                        quo fit, ut omnis
votiva pateat veluti descripta tabella
vita senis.

Teocrito non è certo uno spirito eroico. Anche se non lo dimostrassero le circostanze della sua vita, basterebbe a provarlo il tòno delle sue poesie eroiche. Tòno, lo vedemmo, calante.

La sua voce torna invece giusta quando ricorda i benefizi e le gioie della pace:

Sian culti i pingui campi: sui pascoli belino i greggi
pasciuti d’erbe, tante migliaia che niuno le conti;
il viandante che muove nell’ora del vespero, affretti
il passo innanzi ai buoi che tornano a torme ai presepi;
si apprestino pei semi novali, allorché la cicala
dai rami effonde il canto; il ragno le reti sue lievi
tessa nell’armi; e la guerra neppur nominare piú s’oda.

Dunque, pacifista. E fra i beni che largisce la pace, vagheggia innanzi tutto, parrebbe, quelli materiali. Le aspirazioni, che già qualificammo, dei suoi pastori, sono, senza dubbio, le sue aspirazioni. S’immagina facilmente che il suo ideale sia espresso nei celeberrimi versi di Menalca:

Deh, non m’avvenga tenere di Pèlope il suolo e i talenti
     di Creso, e non al corso dietro lasciarmi i venti.