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battuta comica, che rasserena l’aria, e lascia una definitiva impressione di gaiezza e di freschezza.

Del mito d’Adone esistevano parecchie varianti. Secondo la piú comune, il bell’amante di Afrodite, sbranato dal cinghiale feroce, aveva ottenuta da Giove la concessione di restare sei mesi nell’Averno, e sei sulla terra, vicino alla Dea che l’amava. Ma secondo la nostra poetessa, doveva rimanerci molto meno; perché dice che è tornato dopo dodici mesi. Qui son descritte le feste celebrate in suo onore il primo giorno; e leggendone la descrizione in Teocrito, vien fatto di pensare ai «Sepolcri» della nostra Settimana santa. Nel secondo si piangeva la sua nuova partenza.

A proposito di questo idillio, come degli idilli in genere e dei mimi, si solleva dai filologi la quistione se essi fossero o non fossero destinati alla recitazione. Ed è, come tante altre solenni quistioni filologiche, di pura lana caprina. Si capisce che, finché il greco fu lingua viva e non morta, quanti avevano attitudine a recitare, non avranno resistito alla lusinga di dare realizzazione fonica alle composizioni poetiche che la meritavano. Che poi queste recitazioni avvenissero fra amici, o in pubblici ritrovi, o in teatri, è quistione puramente materiale. Il problema artistico ed essenziale, è altro. È se questo idillio o quel mimo siano tali da guadagnare o da perdere efficacia in una lettura a voce alta, in una recitazione: se abbiano o no virtual vita scenica.

Problema, s’intende, che non può avere, in genere, soluzione se non soggettiva; ma che per queste «Siracusane» ne consente una obiettiva; e, chi potrebbe opporsi?, affermativa.

È possibile figurarsi precisamente, o, come direbbero i teòsofi, visualizzare la ipotetica recitazione di un antico mimo?

Non lo credo impossibile; ma non bisogna cercare nel campo della recitazione classica ed ufficiale, dove non si troverebbero gli equivalenti. Bisogna cercare fra i mimi; e nessuno si vorrà scandalizzare, perché parliamo appunto di mimi. Raffaele Vi-