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240 TEOCRITO


VII

LE TALISIE

Questo idillio è a chiave. Simicída è Teocrito. Licida potrebbe essere Leonida di Taranto. La scena si svolge nell’isola di Coo; e l’erudizione ha identificati uno per uno tutti i luoghi ricordati da Teocrito: chi apra la bella edizione di Cholmeley, troverà, a pagina 237, una piccola carta che potrà orientarlo perfettamente.

E l’idillio sarebbe il ricordo, poeticamente trasformato, d’una scampagnata di Teocrito e dei suoi amici, nel podere del ricco Frassidamo, per partecipare alle «Talisie», feste che si celebravano in onore di Dèmetra, dopo la trebbiatura del grano.

Le «Talisie» sono comunemente chiamate «la regina degli Idilli». E se la regalità si dovesse misurar dalla lunghezza, non potrebbe sussistere dubbio. Le «Talisie» contano 157 versi, e soltanto 58 i «Mietitori», che sono un puro capolavoro.

Intendiamoci. È certo che il paesaggio dell’ultima parte (131-146) trova ben pochi riscontri in tutta la poesia teocritea: l’ammirazione del Sainte-Beuve è qui tutt’altro che iperbolica, e il nome di Rubens, che egli ricorda, e che ricorre spontaneo al pensiero di tutti, non sembra davvero pronunciato invano. Il mito di Dafni chiuso nell’arca dal tristo padrone, e nutricato dalle api, è di squisitezza ineffabile, e disegnato con tratti oltremodo felici. Ed anche nella prima parte sono graziosissimi i tocchi agresti (la selva di pioppi e di olmi che tesse la sua ombra sopra l’acque della fonte Birina, il ramarro sopito, la lodoletta anch’essa ammutolita nel cielo, il bel sorriso di Licida). E l’immagine della Dea Dèmetra, alta, con le mani colme di papaveri e spiche, conclude stupendamente l’idillio, e torna a far circolare in esso l’aura di poesia, smarrita nelle ultime divagazioni mitologiche.