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238 TEOCRITO

Neppur ora vuoi lasciarmi, neppur or, bestia maligna?
Pensa quando a rubar l’uva ti sorpresi nella vigna,
ti legai contro un ulivo, ti scoiai ben ben le terga,
sú che oggetto eri d’invidia. Cuore ingrato in te s’alberga.

I due luoghi piú difficili sono a versi 112-115 e 120-124.

Cosí alto alto, nel primo di essi Comata rimprovera Lacone per le sudicerie che egli commette, parrebbe, con la moglie di un certo Micone; e Lacone, di rimando, gli rinfaccia pratiche poco pulite con quella di un tale Filonda.

Equivoca dev’essere anche, e lo conferma la testimonianza dell’antico scoliaste, che in questo argomento dove’ avere la sua competenza, la menzione della cipolla marina (squilla) e del pamporcino. Però, anche all’infuori di ogni allusione furbesca, è possibile una interpretazione soddisfacente Comata, accorgendosi che Lacone comincia ad arrabbiarsi, lo consiglia a cercar cipolle marine, alle quali l’antica terapia sembra tribuisse una efficacia antibiliare, non riconosciuta, per dire il vero, dai moderni. E Lacone, rimbeccandolo, lo esorta a purgarsi col pamporcino; al quale anche oggi si riconoscono qualità antielmintiche.

Per quanto i due pecorari siano ugualmente insolenti e sboccati, Comata appare però il meno rozzo. Piú fini e gentili sono le immagini del suo canto; onde la sentenza di Morsone appare giusta, sebbene espressa in forma alquanto iperbolica.

Nel complesso, è questo uno degli idilli piú ricchi di colore e piú caratteristici. Esso ha appunto il medesimo fascino dei giambi d’Archiloco e d’Ipponatte, e di certe crude scene d’Aristofane. Raccoglie una materia — concetti, immagini, vocaboli, locuzioni, frasi — che a prima giunta sembrerebbe quanto mai aliena dalla poesia; e, stringendone gli elementi in plessi vividi precisi, la solleva, per virtú di ritmo e di stile, nel puro clima dell’arte. Cosí appunto vediamo in pittura le vecchie straducole,