Pagina:Iacopone da Todi – Le Laude, 1930 – BEIC 1854317.djvu/52

Se mamma arvenisse che racontasse
le pene che trasse — en mio nutrire!
la notte ha bisogno che si rizasse
e me lattasse — con frigo suffrire
staendo a servire: — ed io pur plangea;
32 anvito non avea — de mia lamentata.
Ella, pensando ch’io male avesse,
che non me moresse — tutta tremava:
era besogno che lume accendesse
e me scopresse, — e poi me mirava
e non trovava — nulla sembianza
38 de mia lamentanza, — perché fosse stata.
O mamma mia, ecco le scorte
che en una notte — hai guadagnato!
portar nove mesi ventrata si forte
con molte bistorte — e gran dolorato,
parto penato — e pena en nutrire:
44 el meritire — male n’èi pagata.
Poi venne el tempo mio paté è mosto,
a leger m’ha posto — ch’emprenda scrittura
se non emprenda quel ch’era emposto,
davame ’l costo — de gran battetura;
con quanta paura — loco ce stetti,
50 sirian longhi detti — a farne contata.
Vedea li garzoni girse iocando,
ed io lamentando — che non podea fafe:
se non giá a la scola, giame frustando
e svincigliando — con mio lamentare;
stava a pensare — mio paté moresse,
56 ch’io piú non staesse — a questa brigata.
Tante le meschie ch’io entanno facea,
ca pigliarla — le molte entestate;
non ne giá a Lucca che cagno n’avea:
capigli daea — e tollea guanciate,
e spesse fiate — era strascinato
62 e calpistato — com’uva entinata.