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46 lauda xxiv


     Se mamma arvenisse che racontasse
le pene che trasse — en mio nutrire!
la notte ha bisogno che si rizasse
e me lattasse — con frigo suffrire
staendo a servire; — ed io pur plangea;
anvito non avea — de mia lamentata.
     Ella, pensando ch’io male avesse,
che non me moresse — tutta tremava;
era besogno che lume accendesse
e me scopresse, — e poi me mirava
e non trovava — nulla sembianza
de mia lamentanza — perché fosse stata.
     O mamma mia, ecco le scorte
che en una notte — hai guadagnato!
portar nove mesi ventrata sí forte
con molte bistorte — e gran dolorato,
parto penato — e pena en nutrire;
el meritire — male n’èi pagata.
     Poi venne el tempo mio pate è mosto,
a leger m’ha posto — ch’emprenda scrittura;
se non emprenda quel ch’era emposto,
davame ’l costo — de gran battetura;
con quanta paura — loco ce stetti,
sirian longhi detti — a farne contata.
     Vedea li garzoni girse iocando,
ed io lamentando — che non podea fare;
se non gía a la scola, gíame frustando
e svincigliando — con mio lamentare:
stava a pensare — mio pate moresse.
ch’io piú non staesse — a questa brigata.
     Tante le meschie ch’io entanno facea,
ca pigliaría — le molte entestate;
non ne gía a Lucca che cagno n’avea;
capigli daea — e tollea guanciate;
e spesse fiate — era strascinato
e calpistato — com’uva entinata.