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brezzo. Com’era fredda! Ma bisognava farla tacere.... Quel pianto era insopportabile.... Non voleva latte? Era fasciata forse troppo, stretta? Volle sfasciarla lei, con le sue mani. Oh che gambette misere, paonazze.... e come tremavano, contratte dallo spasimo.... Si provò a tenergliele; ma erano gelate! Era tutta gelata, quella povera piccina.... Come, con che ravvolgerla? Ecco là, la copertina della culla.... Su, su.

Donna Giannetta se la prese in braccio, se la strinse contro il seno, forte e delicatamente, e si mise a passeggiare per la camera, cullando la figlioletta col dondolio della persona, come non aveva mai fatto. E stupì di saperlo fare. Sentiva sul seno le contrazioni del piccolo ventre addogliato e quasi il gorgoglio del pianto dentro quel corpicciolo tenero e freddo. Quasi senza volerlo, allora, si mise a piangere anche lei, non per pietà della piccina, no.... o fors’anche, sì, perchè la vedeva soffrire.... ma piangeva anche perchè.... perchè non lo sapeva neppur lei.

A poco a poco la piccina, come se sentisse il calore dell’amor materno, che per la prima volta la confortava, si quietò di nuovo. Donna Giannetta era già stanca, tanto stanca, e pur non di meno seguitò ancora un pezzo a passeggiare e a batter lievemente, a ogni passo, una mano su le terga della piccina. Poi si fermò; con la massima precauzione, per non farla svegliare, se la tolse dal seno; si mise a sedere e se la adagiò su le ginocchia; fe’ cenno alla bàlia di rimanersene a letto e, al fioco lume del lampadino da notte, si diede a contemplare la figliuola. Vide quella creaturina, tranquilla ora per opera sua, lì in grembo a lei, come non la aveva mai veduta. Forse perchè non aveva mai fatto nulla per lei. Po-