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della poltrona, volendo fingere di dormire; come però il D’Atri aprì l’uscio, ella riaprì gli occhi con molle stanchezza, quasi veramente avesse dormito.

— Domani, no? — gli domandò di nuovo, con grazia languida. — Ho proprio sonno, Francesco! Se perdo il filo?

— Non lo perderai, — diss’egli aggrondato, lisciandosi la barba con la mano tremolante. — Del resto, se vuoi, il mio discorso potrà anche esser breve....

— Ti dimetti? — domandò ella, placidamente.

Francesco D’Atri la guardò, stordito.

— No.... — disse. — Perchè?

— Credevo.... — sbadigliò donna Giannetta, portandosi una mano innanzi alla bocca.

— No, qui, qui, di cose nostre, della casa, devo parlarti, — riprese egli. – Abbi un po’ di pazienza. Sono anch’io tanto stanco! Se vuoi, del resto, che il mio discorso sia breve, non offenderti.

Donna Giannetta sgranò gli occhi:

— Offendermi? perchè?

— Ma perchè, se dev’esser breve, sarà pure per conseguenza molto chiaro, senza frasi, — rispose egli. — Mi lascerai dire; poi farai, spero, quel che ti dirò io, e basterà così. Dunque, senti.

— Sento, — sospirò ella, richiudendo gli occhi.

Francesco D’Atri agitò più volte con stento due dita:

— Due.... due sciagure ti son capitate, — cominciò.

Donna Giannetta tornò a scuotersi:

— Due? a me?

— Una, l’hai proprio voluta, — seguitò egli. — Vecchia sciagura. Sono io.