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e, curvo, si portò di nuovo le mani sul volto; stette un pezzo così, finchè non cominciò a sussultare violentemente come per un impeto di singhiozzi soffocati. Aveva conosciuto a Torino, giovine, donna Caterina Laurentano e Stefano Auriti, che quel figliuolo lì gli ricordava in tutto; pensò a quegli anni lontani; vide se stesso com’era allora; vide Roberto ragazzo; pensò a una notte sul mare, con quel ragazzo su le sue ginocchia, un’ora dopo la partenza da Quarto.... ah, da quella notte a questa, che baratro!

Giulio Auriti, vedendo sussultare le spalle poderose del vecchio Ministro, allibì.

Questi alla fine scoprì il volto e, rimanendo curvo, guardando verso terra, scotendo le mani a ogni parola:

— Che gridi?... che gridi? — gli disse. — La vergogna di tutti? Tutti impeciati! Vuoi dirmi che sai perchè il Selmi prese quel denaro sotto il nome di tuo fratello? E griderai anche la mia vergogna!

— No, Eccellenza! — negò subito con sbalordimento d’orrore, l’Auriti.

— Ma sì! — riprese Francesco D’Atri, levandosi. — Tutti impeciati, ti dico! Tutti.... tutti.... Muojo di schifo.... Il fango, fino qua!

E s’afferrò con le mani la gola.

— M’affoga! Questo.... dovevo veder questo! I più bei nomi.... Tu vedi soltanto tuo fratello! Niente, sì, non glie n’è venuto niente in mano; ma ha tenuto di mano a quello lì.... E non è vergogna, questa? come la scusi? che gridi? Tuo fratello promette, il tuo signor fratello assicura, in quei biglietti là, i laidi uffici dell’amico....

— E non lo nomina! — disse coi denti stretti,