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— Come due ragazzini....

E tra i colpi di tosse donna Sara seguitava a gridar di là:

— Pentitevi, diavolacci! pentitevi!


Passerà! Passerà!


All’improvviso, mentre i tre seduti a tavola finivano di cenate, dal di fuori, ove il vento e la pioggia infuriavano, tra il fragorìo continuo degli alberi e del mare, s’intesero i furibondi latrati dei mastini, che ogni sera, su i gradini della scala, stavano ad aspettar l’uscita del padrone dopo la cena.

Mauro, accigliato, si rizzò sul busto e tese l’orecchio. Quei latrati avvisavano, che qualcuno era presso la villa. E chi poteva essere a quell’ora, con quel tempo da lupi? Si udirono grida confuse. Mauro balzò in piedi, corse a prendere il fucile appoggiato a un angolo della sala, e s’avviò alla porta. Prima d’aprire, applicò l’orecchio al battente e subito, intendendo che giù, innanzi a la villa, i cani cercavano d’impedire il passo a parecchi, che se ne difendevano gridando, spense il lume, spalancò la porta e, tra lo scroscio violento della pioggia, nella tenebra sconvolta, spianando il fucile, urlò dal pianerottolo:

— Chi è là?

Un palpito di luce sinistra mostrò per un attimo, in confuso, la scena. Mauro credette d’intravvedere quattro o cinque che, minacciando disperatamente, indietreggiavano all’assalto dei mastini.

— Mauro, perdio! Questi cani! Ne ammazzo qualcuno! Ti chiamo da tre ore!

— Don Landino?