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insopportabile gravezza. Ah, il bujo, il bujo, un luogo di riposo: la morte, sì! Tutta quella guerra faceva vincere volentieri il ribrezzo della morte. Che crudeltà! Egli era uno che doveva presto morire.... Serbargli quella feccia per gli ultimi giorni, da ingojare nel bicchiere della staffa....

Francesco D’Atri si fermò, con gli occhi immobili e vani. Immaginò il tempo dopo la sua fine: il tempo per gli altri.... Ecco tornata la calma.... per gli altri! rabbonite quelle onde, squarciato l’orrore di quella tempesta; e nessuna pietà, nessun rimpianto, nessuna memoria di chi s’era trovato in quei frangenti e vi era perito.

A un tratto, su la mensola, a cui egli teneva fissi gli occhi, gli s’avvistò una piccola bertuccia di porcellana, che gli rideva in faccia sguajatamente. Gli venne quasi la tentazione di romperla; voltò le spalle; avvertì di nuovo il pianto angoscioso della bambina e s’avviò a quella camera remota.


Il guanto sul tappeto.


Era la camera della bàlia. Un lumino da notte, riparato da una ventola litofana, sul cassettone, la rischiarava a mala pena. La vecchia governante, magra e linda, passeggiava con la bimba in braccio che, convulsa dagli spasimi, pareva volesse sguizzarle dalle mani; procurava di tenersela adagiata sul seno, e:

Nooo.... nooo.... — le ripeteva, come in risposta ai vagiti angosciosi, dimenandosi in ritmo con tutta la persona e battendole di continuo, lievemente, una mano alle terga.