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smarrimento, non volevano lasciarlo in pace; se lo disputavano, se lo giocavano, gli proibivano di lamentarsi di dirsi stanco, di dichiarare che non si ricordava più di nulla; e lo costringevano a mentire senza bisogno, a sorridere quando non ne aveva voglia, ad abbigliarsi, a far tante cose che gli parevan di più. E uno, ecco, gli tingeva in quel modo ridicolo la barba; un altro gli aveva fatto prender moglie, quando egli sentiva bene che non era più tempo; un altro ancora gli faceva tener tuttavia quel posto supremo, ch’egli riconosceva di tanto superiore alle sue forze; un altro poi lo persuadeva ad amare con infinita pena quella bambina, che anch’egli sapeva non sua, adducendo una ragione quanto mai speciosa, che cioè, avendo egli avuto da giovine una figliuola, a cui altri aveva dato e nome e amore e cure e sostanze, in compenso e in espiazione toccasse a lui ora di dare a questa il proprio nome e amore e cure e sostanze, come se questa fosse veramente quella sua povera piccina d’allora.

Cedendo però a questo sentimento, riconoscendo innanzi a gli altri come sua la figliuola, eh — lo avvertiva quello de la barba, armato di pennello e di tintura — bisogna che tu, caro, per esser creduto padre, con quella moglie giovine accanto, dia una mano di giallo a tutta codesta canutiglia! — Egli avrebbe voluto opporsi a questo consiglio sciocco, che gli pareva profanasse non solo la sua figura veneranda, ma anche, in fondo, il suo vero sentimento verso quella bambina; non sapeva però opporsi più, se non timidamente. E questa timidezza penosa e ridicola si rispecchiava appunto nella tintura della barba.

Preso in mezzo, tenuto lì come fra tanti, che ognuno pareva facesse per sè e lui non ci fosse per