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passione della figliuola per Aurelio Costa. Era per lui sicuramente un male; e non già per la disparità della nascita o della condizione sociale (fisime!); ma perchè essa aveva origine da una sua debolezza, dalla gratitudine per tanti anni dimostrata al suo piccolo salvatore. Da un bene non poteva venirgli altro, che un male. Domma, questo, per lui. E nessun filosofo avrebbe potuto indurlo a riconoscere che il suo ragionamento, fondato su un pregiudizio, era vizioso. La logica? Che logica contro l’esperienza di tutta una vita? E poi, se per un solo caso si fosse indotto a riconoscere il vizio del suo ragionamento, addio scusa di tutto il male in tanti altri casi coscientemente commesso!

Ogni qual volta un negozio, una faccenda qualsiasi accennava fin da principio di volgergli a seconda, egli, anzichè rallegrarsene, s’aombrava, sospettava subito un’insidia della sorte e si parava in difesa.

Accolse male perciò, da un canto, la notizia e la proposta di Capolino, che cioè Nicoletta era pronta a partire il giorno appresso e che avrebbe voluto accompagnarsi nel viaggio col Costa; dall’altro, l’annunzio recato da Ciccino e Lillina, che Lando Laurentano, il quale tutta quella mattinata era stato in giro con essi e con Dianella, sarebbe venuto quella sera stessa a salutarlo. Lo avevano incontrato per caso, e quantunque avesse detto loro in prima d’esser fortemente irritato per una certa pubblicazione in un giornale del mattino, s’era poi dimostrato gajo in loro compagnia e gratissimo della distrazione procuratagli.

Flaminio Salvo era nella stanza da studio di Francesco Vella e dava ad Aurelio Costa le ultime istruzioni circa il ritorno di questo in Sicilia, fissato per la mattina seguente, quando i due nipoti gli reca-