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— A me, — balbettò, — a me dice così? a me?... Ma io.... Quando mai io.... a quali cose io mi son cacciato in mezzo, di mia volontà? Ma io vi sono stato sempre trascinato, tirato pei capelli, e sono stufo, sa? di queste imprese, di questi intrighi, e bizze, e scandali....

— Scandali, poi! — fece Capolino.

— Sissignore, scandali! — seguitò Aurelio, senza più freno. — Scandali qua, laggiù.... e se non li vede lei, li vedo io! Basta! basta! Io non ho voluto mai nulla! non ho aspirato mai a nulla, per sua norma, altro che di stare in pace con la mia coscienza, e tranquillo, facendo ciò che so fare. E basta! Venga qua lui, ora, e pensi, dopo le promesse fatte, ad aggiustar bene le cose, perchè laggiù, ripeto, debbo tornarci io, e la pelle non ce la voglio lasciare. La riverisco.

Ignazio Capolino lo seguì un tratto con gli occhi; poi si scosse con un ghigno nel naso e tentennò a lungo il capo.

Se avesse saputo che la vera ragione, per cui Aurelio Costa voleva che Flaminio Salvo venisse a Roma, era quella stessa appunto per cui egli voleva che non venisse: sua moglie!

Il calore con cui difendeva quel disegno, studiato veramente con tutto lo zelo scrupoloso ch’egli metteva in ogni sua opera, e la stizza nel vederlo mandato a monte, buttato lì senz’alcuna considerazione e quasi deriso, provenivano in fondo dal calore d’un’altra passione, dalla stizza per un altro smacco, di cui egli, per non mortificare innanzi a sè stesso il suo amor proprio, non si voleva accorgere. Allontanato da Flaminio Salvo da Girgenti con la scusa di quel disegno, proprio nel momento in cui la figlia sapeva che Nicoletta Capolino era a Roma col