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ravigliava il cav. Cao e si rattristava insieme di poter vedere, ora, così, quell’uomo che in altri tempi lo aveva addirittura abbagliato, acceso d’entusiasmo per le gesta eroiche che si raccontavano di lui garibaldino e poi per le memorabili lotte parlamentari strenuamente combattute.

Mah! Ormai Francesco D’Atri non pensava che a sporcarsi timidamente, d’una tinta gialligna, canarina, i pochi capelli che gli erano rimasti attorno al capo e l’ampia barba, che sarebbe stata così bella se bianca.

Anche lui, è vero, il cav. Cao, da circa un anno poco poco.... i baffi soltanto. Ma per non averli, ecco, un po’ bianchi, un po’ neri. Gli seccava. E poi, del resto, per lui quella tintura non avrebbe mai avuto le orribili conseguenze, che aveva avuto per Sua Eccellenza. Quantunque infine non avesse ancora quaran.... ah già, sì, quarant’anni, da tre giorni: ebbene, quaranta: non avrebbe mai preso moglie, lui. E Francesco D’Atri, invece, sì, l’aveva presa a ses-san-ta-set-te anni sonati; e giovane per giunta l’aveva presa.

Segno evidentissimo di rammollimento cerebrale.

E dunque basta, eh? — bisognava metterlo da parte — (la vita ha le sue leggi!) — da parte, senza considerazione e senza pietà. Pietà, tutt’al più, poteva averne lui, perchè gli voleva bene, perchè vedeva ch’egli soffriva atrocemente, in silenzio, dell’enorme sciocchezza commessa; ma provava anche sdegno, ecco, sdegno amarissimo per la remissione di cui gli vedeva dar prova di fronte a quella moglie che, quasi subito dopo le nozze, s’era messa a far pubblicamente strazio dell’onore di lui.

Tutti, o quasi tutti, ammogliati tardi e male, questi benedetti uomini della Rivoluzione. Eh, da gio-