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il vitto. E Olindo Passalacqua, saputo che Celsina era compagna di fede socialista di Lando Laurentano, subito aveva suggerito di chiedere a lui quell’assegno. No? perchè no? Opera meritoria! Maledetti certi scrupoli, certi pudori, che impediscono alla coscienza di fare il bene! Si sarebbe potuta proporre al Laurentano la restituzione di quel piccolo assegno coi primi guadagni; ma, nossignori, queste cose le fanno gli sfruttatori, gli strozzini, ragion per cui un gentiluomo deve astenersi dal farle.... Stupidaggini! Miserie!

S’era contorto su la seggiola, Antonio, udendo questi discorsi. Avrebbe voluto strappare per un braccio Celsina e gridarle sul volto — “Va’, tòrnatene donde sei venuta! Costoro son pazzi che danzano su l’abisso. Va’! va’! L’abisso lo spalancherò io! Non c’è più nulla; io stesso non sono più: tutto è finito!„

Ma pure, eccolo lì, aveva col Passalacqua accompagnato Celsina fino al villino di Lando, e ora stava ad aspettare che l’adunanza si sciogliesse, ed ella ne uscisse. Celsina gli aveva promesso in confidenza che non avrebbe neppur fatto cenno al Laurentano di quella ridicola proposta dell’assegno; solo lo avrebbe pregato d’interessarsi di lei in qualche modo, di farle trovare, per le sue tante attinenze, un posticino a Roma.

L’assegno, Celsina si era proposto di domandarlo invece per lui, per Antonio. Egli le aveva confidato la sera avanti la terribile condizione in cui si trovava lo zio.

— E tu? — gli aveva domandato ella.

Non aveva avuto altra risposta che un gesto furioso, di disperazione. Le era balenato il sospetto ch’egli covasse un proposito violento, ma contro sè; e aveva cercato di scuoterlo, di rincorarlo. Era