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della colonna infame 841

innocenti.” Tanto lui, quanto il Mora, fecero poi stendere dai religiosi che gli assistevano una ritrattazion formale di tutte l’accuse



che la speranza o il dolore gli avevano estorte. L’uno e l’altro sopportarono quel lungo supplizio, quella serie e varietà di supplizi, con una forza che, in uomini vinti tante volte dal timor della morte e dal dolore; in uomini i quali morivan vittime, non di qualche gran causa, ma d’un miserabile accidente, d’un errore sciocco, di facili e basse frodi; in uomini che, diventando infami, rimanevano oscuri, e all’esecrazion pubblica non avevan da opporre altro che il sentimento d’un’innocenza volgare, non creduta, rinnegata tante volte da loro medesimi; in uomini (fa male il pensarci, ma si può egli non pensarci?) che avevano una famiglia, moglie, figliuoli, non si saprebbe intendere, se non si sapesse che fu rassegnazione: quel dono che, nell’ingiustizia degli uomini, fa veder la giustizia di Dio, e nelle pene, qualunque siano, la caparra, non solo del perdono, ma del premio. L’uno e l’altro non cessaron di dire, fino all’ultimo, fin sulla rota, che accettavan la morte in pena de’ peccati che avevan commessi davvero. Accettar quello che non si potrebbe rifiutare! parole che possono parer prive di senso a chi nelle cose guardi soltanto l’effetto materiale; ma parole d’un senso chiaro e profondo per chi considera, o senza considerare intende, che ciò che in una deliberazione può esser più difficile, ed è più importante, la persuasion della mente, e il piegarsi della volontà, è ugualmente difficile, ugualmente importante, sia che l’effetto dipenda da esso, o no; nel consenso, come nella scelta.

Quelle proteste potevano atterrire la coscienza de’ giudici; potevano