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tudine di Renzo, e rendevan più foschi tutti i suoi pensieri.

Stato così alquanto, prese la diritta, alla ventura, andando, senza saperlo, verso porta Nuova, della quale, quantunque vicina, egli non poteva accorgersi, a cagione di un baluardo, dietro cui essa era allora nascosta. Dopo pochi passi, cominciò a venirgli all’orecchio un tintinno di campanelli, che cessava e si ripeteva ad intervalli, e poi qualche voce d’uomo. Andò innanzi; volto l’angolo del bastione, gli si scoperse, la prima cosa, sulla spianata dinanzi alla porta, un casotto di legno, e sull’uscio, una guardia appoggiata al moschetto in una cert’aria stracca e trascurata: dietro era un cancello di stecconi, e in fondo la porta, cioè due alacce di muro, con una tettoia sopra, per riparare le imposte; le quali erano spalancate, come pure lo sportello dello steccato. Però, dinanzi appunto all’apertura, stava un tristo impedimento, una barella posata in sul suolo, sulla quale due monatti racconciavano un poveretto, per portarnelo: era il capo de’ gabellieri, a cui poco prima, s’era scoperta la peste. Renzo si fermò dose si trovava, aspettando la fine: partito il convoglio, e non comparendo nessuno a richiuder lo sportello, gli parve tempo, e