Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/72

70

“To’,” disse Renzo: “è un poeta costui. Ne avete anche qui dei poeti: già ne nasce da per tutto. Ne ho una vena anch’io; e qualche volta ne dico delle belle..... ma quando le cose vanno bene.”

Per comprendere questa inezia del povero Renzo, bisogna sapere che, presso il volgo di Milano, e del contado ancor più, poeta non significa già, come per tutti i galantuomini, un sacro ingegno, un abitator di Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello bizzarro e un po’ balzano, che nei discorsi e nei fatti abbia più dell’arguto, e del nuovo che del ragionevole. Tanto quel guastamestieri del volgo è ardito a manomettere le parole, e a far loro dire le cose più lontane e disparate dal loro legittimo significato! Perchè, vi domando io, che ha a fare poeta con cervello balzano?

“Ma la ragione giusta la dirò io”, soggiunse Renzo: “egli è perchè la penna la tengono essi: e così, le parole che dicono essi volano via, e spariscono: le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzano per aria con quella penna, e le inchiodano sulla carta, per servirsene a tempo e luogo. Hanno poi anche un’altra malizia; che quando vogliono