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diffuse nella moltitudine una voglia di trarre colà: “io vado; vai tu? vengo; andiamo,” vi s’udiva per ogni parte: la calca si dirompe, brulica, s’incammina. Renzo rimaneva addietro, non si movendo quasi, se non quanto era strascinato dal torrente; e teneva intanto consiglio in cuor suo, se dovesse tirarsi fuora del baccano e tornare al convento, in cerca del padre Bonaventura, o andare a vedere anche quest’altra. Prevalse di nuovo la curiosità. Però egli risolvette di non cacciarsi nel fitto della mischia, a farsi ammaccar le ossa, o a risicar qualche cosa di peggio; ma di tenersi così dalla lunga ad osservare. E trovandosi già un po’ al largo, cavò il secondo pane e, datovi di morso, s’avvio in coda dell’esercito tumultuoso.

Questo, per lo sbocco in angolo della piazza, era già entrato nella via corta ed angusta di Pescheria vecchia, e di là, per quell’arco a sbieco, nella piazza de’ mercanti. Quivi erano ben pochi che, nel passar dinanzi alla nicchia che taglia verso il mezzo la loggia dell’edificio chiamato allora il collegio de’ dottori, non dessero su un’occhiatina alla grande statua che vi campeggiava, a quella cera seria, burbera, aggrondata, e dico poco, di don Filippo II, che anche dal marmo imponeva un non so che di rispetto, e, con quel braccio teso,