Pagina:I promessi sposi (1825) II.djvu/229

226

non che egli lasciasse mai nulla trasparire, nè in parole nè in atti, di questa nuova inquietudine, la copriva profondamente, e la mascherava colle apparenze d’una più cupa ed intesa ferocia; e con questo mezzo cercava anche di nasconderla a sè stesso o di soffocarla. Invidiando (giacchè non poteva annientarli nè dimenticarli) quei tempi in cui egli era solito commettere l’iniquità senza rimorso, senz’altra sollecitudine che della riuscita, faceva ogni sforzo per farli tornare, per ritenere o per riafferrare quell’antica volontà piena, baldanzosa, imperturbata, per convincer sè stesso ch’egli era ancora quell’uomo.

Così in questa occasione, aveva tosto impegnata la sua parola a don Rodrigo, per chiudersi l’adito ad ogni esitazione. Ma, appena partito costui, sentendo di nuovo affievolire quella risolutezza che s’era comandata per promettere, sentendo a poco a poco venirsi innanzi nella mente pensieri che lo tentavano di mancare a quella parola, e lo avrebber condotto a scomparire dinanzi ad un amico, ad un complice secondario; per troncare in un tratto quel contrasto penoso, chiamò a sè il Nibbio, uno de’ più destri e arrischiati ministri delle sue enormità, e quello di cui era solito servirsi per la corrispondenza con Egi-